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Dal Web Summit a chi progetta gli uffici: i segnali forti che cambieranno il workspace del 2026

Il Web Summit di Lisbona è uno dei pochi luoghi al mondo in cui si percepisce, in modo nitido, la direzione verso cui si muoveranno società, imprese e persone. L’intelligenza artificiale non è stata semplicemente un tema: è stata la lente attraverso cui rileggere organizzazione del lavoro, modelli aziendali e qualità dell’esperienza professionale.

E quando cambia il modo in cui le persone lavorano, inevitabilmente cambia anche il modo in cui si progettano gli spazi in cui vivono il lavoro.

Ecco i segnali più chiari — e più utili per architetti, interior designer e decision maker — emersi dal Web Summit e destinati a influenzare gli uffici del 2026.

1. L’AI come “collega”: il lavoro diventa più mentale, meno meccanico

Le tecnologie viste a Lisbona mostrano un futuro in cui il lavoro umano non diminuisce, ma cambia natura: meno operatività ripetitiva, più compiti cognitivi, creativi, decisionali. Questo trasforma la domanda di spazio: servono ambienti che proteggono il pensiero, non solo che ospitano persone.

  • zone per concentrazione profonda (deep work)
  • micro-spazi per call rapide e continue
  • ambienti progettati per evitare overload sensoriale

Il nuovo ufficio non deve più “contenere” il lavoro, ma sostenerlo.

2. Ritmo ibrido: il valore dell’incontro diventa più alto

Il Web Summit ha confermato un dato: le persone non torneranno in ufficio tutti i giorni, ma torneranno quando ha senso farlo. E quando lo fanno, cercano qualcosa che a casa non trovano: connessioni, scambio, collaborazione, ispirazione.

Questo spinge gli uffici verso:

  • aree collaborative più curate e identitarie
  • spazi che favoriscono conversazioni spontanee
  • layout meno rigidi e più narrativi

Il valore dell’incontro diventa più alto del numero dei posti a sedere.

3. Sovraccarico informativo: l’ufficio come antidoto

Tra AI, notifiche, strumenti digitali e comunicazione asincrona, è emerso un tema spesso ignorato: l’affaticamento cognitivo. Ogni panel, da startup a big tech, ha ripetuto la stessa idea: la vera risorsa scarsa dei prossimi anni sarà l’attenzione.

Un ufficio ben progettato diventa quindi un vero e proprio filtro:

  • meno rumore visivo
  • meno “open space infinito”
  • più protezione acustica
  • più aree di decompressione

L’obiettivo non è estetico: è mentale.

4. Identità e reputazione: il workplace come primo messaggio

Un altro tema forte del Web Summit: nelle aziende ad alta competitività, l’esperienza fisica conta quanto quella digitale. Clienti, partner e talenti giudicano l’impresa anche dagli spazi in cui viene progettato e discusso il futuro.

L’ufficio del 2026 dovrà quindi comunicare:

  • affidabilità (ordine, qualità, coerenza estetica)
  • visione (soluzioni contemporanee e curate)
  • cultura (materiali, colori, atmosfere che raccontano un brand)

Non basta “arredare”: serve una narrazione spaziale.

5. Scalabilità: progettare spazi che cambiano senza ripartire da zero

L’accelerazione della tecnologia comporta qualcosa che ormai riguarda tutti: team che crescono, cambiano, si riconfigurano. Il Web Summit ha mostrato come i flussi di lavoro si trasformino ogni pochi mesi. Chi progetta uffici deve quindi ridurre al minimo ciò che è fisso e aumentare ciò che è modulare.

  • zone che cambiano funzione rapidamente
  • micro-ambienti riconfigurabili
  • arredi, partizioni e layout che non “incatenano” lo spazio

Il progetto non deve essere una fotografia: deve essere un sistema.

Conclusione: dal Web Summit all’ufficio reale

Il Web Summit non parla di arredi. Parla di futuro, di persone, di nuove forme di lavoro. Ma ogni insight osservato a Lisbona ha una ricaduta diretta sul modo in cui le aziende vorranno (e dovranno) progettare gli spazi entro il 2026.

Per chi lavora nel design e nella progettazione degli uffici, la sfida dei prossimi mesi sarà questa: tradurre trasformazioni tecnologiche in ambienti che fanno lavorare meglio le persone.

Perché il futuro del workspace non si costruisce con più tecnologia… ma con spazi che sanno accoglierla senza perdere la centralità dell’essere umano.

About Marco Olivieri

"Lavoro nel campo del CONTRACT. Faccio in modo di ispirare i miei dipendenti affinchè siano creativi e si divertano. Servo clienti grandiosi, entusiasti dell'innovazione e del miglioramento continuo, davvero. E non ho mai amato un lavoro, nè un'azienda come amo questa. Mi chiamo Marco Olivieri e sono de La Mercanti."
Dal 1997 CEO e direttore marketing de La Mercanti.

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